La Terza
Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza nr 4253 del 16
marzo 2012, ha affermato che, in ipotesi di
fatto illecito costituito dall’uccisione del congiunto, con riguardo
a soggetti estranei all’ambito del
ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la
nuora), perché possano ritenersi
risarcibili il danno non patrimoniale per lesione del rapporto parentale, nonché
il danno patrimoniale correlato al venir meno di prestazioni in denaro o di altre provvidenze comportanti un'utilità
economica, spontaneamente erogate in
vita dal parente deceduto, è necessario che preesistesse tra i congiunti una
situazione di effettiva convivenza.
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Di seguito il testo integrale
della sentenza
CORTE
DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE , SENTENZA 16 marzo 2012 4253 Pres. Trifone –
est. Carluccio , n.4253 - Pres. Trifone – est. Carluccio
Svolgimento del processo
1.
In esito a un sinistro stradale nel quale perdeva la vita M.G. (di anni 71), i
figli (C.M. e L. ), e i nipoti (C.D. e P. , figli di M. ; G..C. , figlio di L.)
agivano (nel 2006) per la condanna, in solido, della conducente (G..A. ) e del
proprietario (M..A. ) dell'autovettura, nonché della Assicurazione, al
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
1.1.
Il Tribunale di Ravenna riconosceva il danno non patrimoniale ai due figli, per
la figlia anche a titolo di danno biologico (per un importo pari a Euro
50.000,00 per il figlio, e a Euro 78.000,00 per la figlia) e, agli stessi, il danno
patrimoniale per spese funerarie, autoveicolo distrutto e suo recupero.
Rigettava tutte le altre domande di danni, patrimoniali e non, chiesti dai
figli e dai nipoti. Li riteneva indimostrati e indimostrabili (artt. 1223 e
1226 cod. civ., richiamati dall'art. 2056 cod. civ.).
Compensava
le spese.
Rigettava
le richieste istruttorie perché generiche e/o valutative.
2.
La decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Bologna, adita dai
danneggiati, con condanna degli stessi alle spese processuali (sentenza 16
dicembre 2009).
3.
Avverso la suddetta sentenza tutti i congiunti della M. ricorrono per
cassazione, con cinque motivi.
Le
altre parti, ritualmente intimate, non svolgono difese.
3.1.
La Unipol Assicurazioni Spa (già Aurora Assicurazioni Spa), in prossimità
dell'udienza, ha depositato controricorso tardivo, munito di procura speciale,
ed è stata ammessa alla discussione orale.
Motivi della decisione
1.
Con il primo motivo si prospetta la violazione degli articoli 1223, 1226, 2043,
2056, 2059 cod. civ., e artt. 2, 29, 30 e 32 Cost., nonché dell'art. 112 cod.
proc. civ., oltre a vizi motivazionali, in riferimento al limitato
riconoscimento del danno non patrimoniale ai due figli (chiesto nella misura di
circa 190 mila Euro per M. e di circa 135 mila Euro per L. ).
Le
censure sono svolte sotto quattro profili.
Il
motivo va rigettato.
1.1.
Preliminarmente va esaminato quello che, secondo l'ordine espositivo dei
ricorrenti, è il quarto profilo.
Si
deduce che le tabelle milanesi del 2009, elaborate dopo Sez. Un. 11 novembre
2008, n. 26972, prevedono un danno non patrimoniale a favore del figlio per la
morte del genitore, da un minimo di 150 mila Euro a un massimo di 300 mila
Euro, mentre la richiesta complessiva a tale titolo, sin dall'atto
introduttivo, era di circa 190 mila Euro per la figlia e di 135 mila Euro per
il figlio. La Corte di merito non avrebbe applicato il nuovo indirizzo
giurisprudenziale e le tabelle rielaborate per pervenire ad un'integrale
riparazione del danno.
1.1.1.
Il profilo è inammissibile alla luce di Cass. 7 giugno 2011, n. 12408.
Tale
decisione - secondo cui, quando nella liquidazione del danno biologico manchino
criteri stabiliti dalla legge, il criterio di liquidazione cui i giudici di
merito devono attenersi, al fine di garantire l'uniformità di trattamento, è
quello predisposto dal Tribunale di Milano, in quanto ampiamente diffuso sul
territorio nazionale, salvo circostanze in concreto idonee a giustificarne
l'abbandono - si è fatta carico di problemi che, con termine efficace, ma
atecnico, si potrebbero qualificare, di “diritto intertemporale” e che,
propriamente, attengono al profilo della novità della questione. In proposito,
la sentenza richiamata ha affermato che, quanto alle sentenze di merito che
(come nella specie) sono state depositate prima della suddetta pronuncia, nelle
quali il giudice abbia liquidato il danno biologico adottando criteri diversi,
tale difformità può essere fatta valere in sede di legittimità solo a
condizione che la questione sia stata posta nel giudizio di merito.
Nella
specie, la mancanza di tale condizione, che i ricorrenti neppure allegano,
rende inammissibile il profilo esaminato, proprio per la novità della questione
prospettata.
1.2.
Con il primo profilo, si censura la sentenza per insufficiente, addirittura
apparente, motivazione nella quantificazione operata per il danno morale in
senso stretto, avendo fatto generico riferimento alle tabelle in uso presso il
tribunale di Ravenna e la Corte di appello di Bologna, senza indicare l'anno,
senza indicare il massimo previsto, pur affermando che la sentenza del primo
giudice aveva fatto applicazione di valore vicino al massimo. In generale, si
deduce la mancanza di personalizzazione, pure emergente dalla consulenza
tecnica, e, in ogni caso oggetto della prova testimoniale in primo grado, non
ammessa, e riproposta in appello; personalizzazione pure riconosciuta in
astratto, con conseguente contraddittorietà sotto tale profilo della motivazione.
Con il secondo profilo, si censura come contraddittoria la motivazione relativa
al danno biologico, per avere la Corte di merito confermato il risarcimento a
tale titolo in 28 mila Euro, nonostante avesse riconosciuto che, secondo le
tabelle in uso nell'ufficio nell'anno 2004 (data dell'incidente) sarebbero
spettati 30 mila Euro per il 15% di danno biologico accertato.
Contraddittoriamente, secondo l'assunto dei ricorrenti, avrebbe ritenuto
compensata la minore somma riconosciuta con la maggior somma attribuita a
titolo di danno morale in senso stretto, mentre quest'ultima somma non era
sicuramente maggiore (per quanto dedotto con il primo profilo).
1.2.1.
La Corte di merito, ha fondato il rigetto dell'impugnazione, per la parte
investita dai suddetti motivi, sulle considerazioni che seguono.
-
Sono infondate le censure attinenti alla liquidazione, per ciascun figlio del
danno non patrimoniale, come danno morale soggettivo, in 50 mila Euro ciascuno,
criticate per il mero riferimento alle tabelle applicate in sede locale senza
personalizzazione. L'applicazione delle tabelle locali è corretta e
personalizzata, essendo stati applicati i valori massimi, nonostante l'età
matura dei figli, con propria prole adulta, e la non convivenza con la defunta.
I valori massimi, infatti, sono giustificati dalla personalità della defunta,
dalla sua socievolezza e dalle condizioni di buona salute; altrimenti, sulla
base dell'età matura dei figli, con prole adulta, e della non convivenza, non
sarebbe stato corretto discostarsi dai minimi, intorno ai 33 mila Euro
ciascuno.
-
Quanto al motivo di appello concernente il quantum del danno biologico
riconosciuto alla figlia M. (Euro 30 mila, invece dei 28 mila riconosciuti) il
minor importo rispetto al calcolo esatto della percentuale (15%) riconosciuta
dal consulente, trova fondamento nella liquidazione equitativa e compensazione
nel maggior importo riconosciuto alla stessa per danno non patrimoniale a
titolo di danno morale puro.
1.2.1.
I profili primo e secondo, strettamente connessi, che censurano questa parte
della sentenza, sono inammissibili.
Secondo
un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la
liquidazione equitativa del danno può ritenersi sufficientemente motivata, con
la conseguenza che è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando
il giudice espliciti congruamente il processo logico seguito. Tanto è accaduto
nella specie, come emerge dalla sintesi delle argomentazioni del giudice sopra
riportate. D'altra parte, se è evidente che la Corte ha fatto riferimento alle
tabelle in uso a Bologna nel 2004 (le uniche rilevanti rispetto alla data del
sinistro), per il danno non patrimoniale come patema d'animo, avendole
richiamate espressamente a proposito del danno biologico, i ricorrenti, invece,
riportano gli importi del 2008 e si lamentano della mancata indicazione dei
massimi del 2004, senza tuttavia indicarli; così impedendo alla Corte di
valutare una eventuale pretesa sproporzione.
1.3.
Con un terzo profilo, si prospetta la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.,
deducendo l'erronea interpretazione della domanda di risarcimento del danno non
patrimoniale, proposta come integrale ristoro, comprensiva oltre che del patema
d'animo, anche del danno esistenziale, per l'improvvisa perdita, e del danno
morale in relazione al danno biologico riconosciuto, laddove il giudice avrebbe
riconosciuto solo il danno morale in senso stretto e il danno biologico.
1.3.1.
Pur deducendo una erronea interpretazione della domanda, in realtà i ricorrenti
sembrano dolersi della omessa pronuncia sull'intera domanda, intesa come
integrale ristoro del danno non patrimoniale, nelle sue varie categorie
descrittive. Il profilo è manifestamente infondato.
La
Corte di merito, con riferimento alle modalità violente e improvvise della
morte, cui i danneggiati collegavano il danno “esistenziale”, ha affermato che
non hanno alcun rilievo, atteso che i valori orientativi delle tabelle sono
predisposti proprio per eventi analoghi. Quanto al mancato riconoscimento del
preteso danno morale per la figlia, da calcolare, secondo i ricorrenti, nella
consueta percentuale del danno biologico, la Corte di merito ha affermato che
lo stesso costituirebbe una palese duplicazione del danno non patrimoniale da
uccisione colposa del congiunto, già liquidato.
All'evidenza,
non solo vi è pronuncia, ma la stessa applica principi consolidati in
riferimento alla necessità di evitare duplicazioni della quantificazione del
danno (Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972).
2.
Con il secondo motivo si deduce la violazione degli articoli 1223, 1226, 2043,
2056, 2059 cod. civ., oltre a vizi motivazionali, in riferimento al mancato
riconoscimento del danno non patrimoniale ai nipoti (chiesto nella misura di 60
mila Euro per D. , 50 mila per P. , 40 mila per G. ).
Si
censura la sentenza per averlo escluso sulla base di dati formali (mancata
previsione in tabelle e mancata convivenza), senza considerare lo stretto
rapporto parentale emergente dalla consulenza tecnica e rispetto al quale era
stata articolata prova testimoniale in primo grado, non ammessa, e riproposta
in appello; rapporto cui, invece, la giurisprudenza di legittimità conferirebbe
rilievo.
2.1.
Il motivo va rigettato.
La
questione all'attenzione della Corte è se, nell'ambito del danno non
patrimoniale da lesione del rapporto parentale per la morte di un congiunto, il
rapporto (reciproco) nonni-nipoti debba essere, o meno, ancorato alla
convivenza per essere giuridicamente qualificato e rilevante, dovendosi
escludere, nel caso lo si ritenga ancorato alla convivenza e questa non via
sia, la possibilità di provare in concreto l'esistenza di rapporti, costanti e
caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà, con il familiare defunto.
Ritiene il Collegio che al quesito debba darsi risposta positiva.
2.2.
La giurisprudenza di legittimità non ha avuto molte occasioni per affrontare
specificamente il problema.
Si
riscontrano due pronunce contrapposte.
2.2.1.
La prima, risalente nel tempo (Cass. 23 giugno 1993, n. 6938), ha ritenuto
necessaria la convivenza.
Ha
collegato la risarcibilità, oltre che all'esistenza del rapporto di parentela,
alla perdita di un effettivo sostegno morale, ritenendo che tale perdita viene
in rilievo solo in presenza di una posizione qualificata.
E,
non rinvenendo un vero e proprio diritto (del nonno) ad essere assistito, anche
moralmente (dal nipote), ha ritenuto necessaria la convivenza, quale
presupposto “che riveli la perdita, di un valido e concreto sostegno morale” in
caso di morte del nipote. La recente sentenza (Cass. 11 maggio 2007, n. 10823)
ne costituisce un'applicazione rispetto ai nipoti, per morte del nonno.
2.2.2.
La seconda (Cass. 15 luglio 2005, n. 15019), resa in una fattispecie in cui
rilevava solo il danno ai nipoti per la morte del nonno, non ha differenziato
la posizione dei nipoti rispetto agli stretti congiunti (coniuge, genitori,
figli). Ha individuato il fondamento del danno non patrimoniale, per tutti i
superstiti, nella lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti
umani inviolabili, costituendo la perdita dell'unità familiare perdita di
affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Ha
ritenuto sufficiente l'emersione, sul piano probatorio, di “normali rapporti”
che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto
intatto, e si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra
prossimi congiunti. Ha escluso che l'assenza di coabitazione possa essere
considerata elemento decisivo, essendo tale assenza imputabile a circostanze di
vita che non escludono il permanere di vincoli affettivi e la vicinanza
psicologica con il congiunto deceduto.
2.2.3.
Nella ricostruzione del panorama giurisprudenziale non assumono rilievo,
invece, due pronunce richiamate dai ricorrenti a sostegno della loro tesi
dell'irrilevanza della convivenza, concernendo l'una il danno ai fratelli
(Cass. 1 agosto 1987, n. 6672), ed essendo stato dichiarato inammissibile per
ragioni procedurali il richiesto danno al nipote, e non venendo in questione la
convivenza o meno con la nuora, nell'altra decisione (Cass. 19 agosto 2003, n.
12124).
2.3.
Ritiene il Collegio che debba darsi continuità all'indirizzo più risalente. A
favore di una posizione qualificata giuridicamente, affinché possa essere
configurato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione
del rapporto parentale per la morte del nonno o del nipote, militano: la
configurazione della famiglia, emergente dalla Costituzione come famiglia
nucleare; la posizione dei nonni nell'ordinamento giuridico; il bilanciamento, che
il dato esterno e oggettivo della convivenza consente, tra l'esigenza di
evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati
secondari e la necessità, costituzionalmente imposta dall'art. 2 Cost., di dare
rilievo all'esplicarsi dei diritti della personalità nelle formazioni sociali
e, quindi, nella famiglia dei conviventi, come proiezione sociale e dinamica
della personalità dell'individuo.
2.3.1.
Dai precetti costituzionali dedicati alla famiglia (artt. 29, 30 e 31 Cost.),
anche alla luce del modo come essi si sono inverati nell'ordinamento,
attraverso l'opera congiunta della giurisprudenza del Giudice delle leggi e del
legislatore ordinario, emerge una famiglia (anche di fatto) nucleare,
incentrata su coniuge, genitori e figli, rispetto alla quale soltanto è
delineata la trama dei diritti e doveri reciproci.
2.3.2.
D'altro canto, le disposizioni civilistiche che, specificamente, concernono i
nonni, non sono tali da poter fondare un rapporto diretto, giuridicamente
rilevante, tra nonni e nipoti, ma piuttosto individuano un rapporto mediato dai
genitori-figli o di supplenza dei figli. Si consideri: l'art. 148 cod. civ.,
dove l'obbligo, peraltro economico, dei nonni, si configura, anche se a
vantaggio dei nipoti, nei confronti dei genitori-figli in caso di mancanza di
mezzi economici di questi ultimi; l'art. 336 cod. civ., dove ai nonni, insieme
agli altri parenti, è data la possibilità di attivare gli strumenti giudiziali
a favore dei nipoti, per il caso di cattivo esercizio della potestà genitoriale
dei genitori-figli e, quindi, con funzione di vigilanza di questi ultimi;
l'art. 348 cod. civ., dove gli ascendenti sono individuati tra i possibili
tutori dei nipoti, nel caso di mancanza dei genitori e, quindi, ancora una
volta, con funzione suppletiva. Né ai nostri fini, può assumere rilievo l'art.
155 cod. civ., come novellato dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, relativa
all'affido condiviso, dove la previsione del diritto del minore a conservare i
rapporti, anche con t nonni oltre che con gli altri parenti, si pone sul
diverso piano di favorire la continuità dei rapporti affettivi in un contesto
di disgregazione e crisi della famiglia nucleare.
2.3.3.
In tale quadro normativo, deve ritenersi che il fatto illecito, costituito
dalla uccisione del congiunto, dà luogo a danno non patrimoniale, consistente
nella perdita del rapporto parentale, quando colpisce soggetti legati da un
vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità
della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota
la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi leso il rapporto
parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora)
è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si
esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati
da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno
economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario
assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale,
venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la
quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (art. 2 Cost.).
La presenza di un dato esteriore certo, a fondamento costituzionale, che
elimina le incertezze in termini di prevedibilità della prova caso per caso -
della quale non può escludersi la compiacenza - di un rapporto affettivo intimo
intenso, si sostituisce, così, al dato legalmente rilevante della parentela
stretta all'interno della famiglia nucleare e, parificato a quest'ultimo,
consente di usufruire dello stesso regime probatorio, per presunzione della particolare
intensità degli affetti, che la giurisprudenza di legittimità ammette per i
parenti stretti (da ultimo, Cass. 13 maggio 2011, n. 10527).
Diversa
potrebbe essere la soluzione - ma il profilo non rileva nella specie
all'attenzione della Corte - nell'ipotesi di nonno - tutore o di nonno, non
convivente, in assenza di genitori di minori, atteso che in tali ipotesi
riemergerebbe la rilevanza giuridica del rapporto diretto nonno - nipoti al
quale il legislatore assegna rilievo.
3.
Con il terzo motivo si deduce la violazione degli articoli 1223, 1226, 2043 e
2056 cod. civ., oltre a vizi motivazionali, per il mancato riconoscimento del
danno patrimoniale, sotto diversi profili. 3.1. Rispetto alla figlia Morena, il
danno patrimoniale preteso è, sotto un primo profilo, rapportato all'obbligo di
pagamento delle residue rate (poco oltre 84 mila Euro) del mutuo ipotecario,
stipulato con la banca dalla madre, per l'acquisto della casa di abitazione.
Contratto che la figlia avrebbe sottoscritto prestando garanzia (essendo la
madre anziana), e al cui pagamento sarebbe tenuta sulla base dell'art. 9 del
contratto, secondo il quale le obbligazioni sono solidali e indivisibili anche
nei confronti degli eventuali successori e aventi causa della parte mutuataria,
con conseguente esistenza del nesso di causalità ai sensi dell'art. 1223 cod.
civ..
Si
lamenta l'omesso esame di tutta la documentazione prodotta, dalla quale
emergerebbe la persistenza dell'obbligo della figlia; nonché l'apparenza di
motivazione, non risultando dalla sentenza perché la garanzia della figlia si
sarebbe estinta per la morte della madre e perché non sussisterebbe l'accollo
coattivo del debito, ma solo una opzione a favore della figlia.
3.1.1.
La Corte di merito ha ritenuto che il giudice di primo grado ha legittimamente
escluso tale danno patrimoniale, quantificato nei residui esborsi mensili del
mutuo per l'acquisto della casa, contratto dalla defunta per abitarvi. In
particolare, ha ritenuto che, con la morte della madre, è cessata la garanzia
accessoria prestata dalla figlia alla banca., mutuante. Inoltre, ha ritenuto
escluso il nesso di causalità tra la responsabilità per il sinistro e la mera
opzione - e non accollo coattivo come preteso dai danneggiati - di subentro
della figlia in luogo della mutuataria.
3.1.2.
La decisione della Corte di merito è conforme a diritto e il motivo di ricorso
deve rigettarsi, ma va corretta la motivazione.
Come
risulta dal contratto di mutuo (riprodotto nel ricorso per la parte che rileva
e depositato unitamente ai ricorso), madre e figlia sono la “parte mutuataria”
e non c'è alcuna assunzione di “garanzia” da parte della figlia. Si tratta,
quindi, di due debitori per la medesima prestazione; debitori solidali ai sensi
dell'art. 9 del contratto di mutuo (“le obbligazioni del presente contratto si
intendono solidali”) e, comunque, ai sensi dell'art. 1294 cod. civ. (“I
condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta
diversamente”). Pertanto, ai sensi del contratto di mutuo, stipulato dalla madre
e dalla figlia, quest'ultima è direttamente obbligata e, conseguentemente, non
esiste alcun nesso di causalità tra la morte della madre e il suo autonomo
obbligo solidale.
Mentre,
in questa sede è irrilevante quella parte del suddetto art. 9, secondo il quale
le obbligazioni sono solidali e indivisibili anche nei confronti degli
eventuali successori e aventi causa della parte mutuataria, regolando l'ipotesi
della successione mortis causa o inter vivos a ciascun condebitore solidale.
3.2.
Sempre rispetto al danno patrimoniale, si lamenta il mancato riconoscimento:
alla figlia Morena, dell'equivalente, per dieci anni, considerata l'età della
defunta e la vita media delle donne, dell'aiuto prestato alla prima nelle
incombenze domestiche, calcolato sulla retribuzione media di una collaboratrice
domestica (pari a 25 mila e 500 Euro); al figlio L. e alla nipote D. , delle
provvidenze aggiuntive per il primo, pari a 6 mila 600 Euro, per la seconda,
paria 5 mila Euro; tutti profili, rispetto ai quali era stata articolata prova
testimoniale in primo grado, non ammessa, e riproposta in appello.
Si
lamenta il contrasto con il principio della giurisprudenza di legittimità, che
riconosce il danno per la perdita di provvidenze aggiuntive, anche in presenza
di figli maggiorenni e economicamente indipendenti.
3.2.1.
La Corte di merito ha confermato la statuizione del primo giudice che aveva
negato il danno patrimoniale alla figlia, per il mancato godimento delle
prestazioni gratuite di lavoro domestico della madre, ritenendo, in ragione
dell'avanzamento dell'età di quest'ultima, che sarebbe intervenuta una graduale
riduzione, poi cessazione, sino alla finale inversione del flusso dei benefici.
Inoltre,
ha ritenuto legittimamente esclusi dal primo giudice i danni patrimoniali
individuati nel venir meno delle liberalità (a favore del figlio e dei nipoti),
ritenendoli insuscettibili di valutazione economica, in quanto non costituenti
un utile proficuamente impiegabile, ma estrinsecazioni affettive e di
solidarietà parentale.
3.3.
Il terzo motivo di ricorso va rigettato rispetto a tutti i profili suddetti.
La
questione all'attenzione della Corte è se, e a quali condizioni, le prestazioni
aggiuntive, in denaro o in altre forme comportanti un'utilità economica,
erogate in vita dal congiunto spontaneamente e in assenza di obbligo giuridico
- ai figli e ai nipoti, siano risarcibili, in quanto integranti danno
patrimoniale conseguente alla morte per atto illecito del congiunto.
3.3.1.
La giurisprudenza della Corte - che non ha mai avuto occasione di pronunciarsi
rispetto alle provvidenze aggiuntive erogate dal nonno ai nipoti, né rispetto
all'utilità economica costituita dalla erogazione da parte della nonna di
prestazioni lavorative nelle faccende domestiche - quanto ai figli del defunto
maggiorenni ed economicamente indipendenti, ha riconosciuto il danno
patrimoniale corrispondente al minor reddito di quello che prima era il
beneficiato da tali provvidenze. In particolare, ha individuato il danno nella
perdita del beneficio di un sostegno durevole, prolungato e spontaneo e,
quindi, erogato in assenza di un obbligo giuridico, certamente non esistente
nel caso di figli maggiorenni ed economicamente indipendenti. (Cass. 8 ottobre
2008, n. 24802; Cass. 14 luglio 2003, n. 11003). E la giurisprudenza più
risalente ha espressamente affermato il diritto, come indipendente dall'obbligo
di alimenti o di mantenimento in capo al defunto (Cass. 24 gennaio 1964, n.
170; Cass. 28 novembre 1968, n. 3842; Cass. 28 ottobre 1978, n. 4932).
3.4.
Ritiene il Collegio - in considerazione dei tipici caratteri di relatività e
storicità dei concetti giuridici della nostra cultura, e in special modo degli
istituti giuridici che involgono la famiglia, i quali, più di altri,
abbisognano anche di un approccio sociologico - di doversi discostare da tale
indirizzo.
Nel
passato (del quale è espressione l'indirizzo giurisprudenziale consolidato), la
certezza o, quantomeno, il rilevante grado di probabilità di provvidenze
economiche durevoli e costanti nel tempo, erogate da genitori a favore di figli
maggiorenni ed economicamente indipendenti e da nonni a favore di nipoti non
conviventi, poteva fondarsi su obblighi, non giuridici, ma socialmente molto
forti perché radicati in stili di vita di completa dedizione dei genitori/nonni
nei confronti dei discendenti. Oggi, le molteplici mutazioni nel costume e
negli stili di vita dei genitori/nonni impongono - anche al fine di eliminare
te incertezze di una prova caso per caso, che non può escludere la possibilità
di testimonianze compiacenti - l'individuazione di un dato esteriore certo che,
come la convivenza, consenta di ancorare la certezza o, quantomeno, il
rilevante grado di probabilità che le sovvenzioni continuino nel tempo, ad una
concreta pratica di vita nella quale, tra le regole etico-sociali di
solidarietà e costume, rientra l'erogazione di provvidenze economiche
all'interno della famiglia allargata. Fuori dalla convivenza, restando solo
l'assoluta imprevedibilità di erogazioni che, configurandosi come atti di
liberalità, possono legittimamente cessare in ogni momento. Con la conseguenza
che, in mancanza di convivenza o di altro obbligo giuridico, non essendo
ipotizzabile con elevato grado di certezza un beneficio durevole nel tempo, non
può sussistere perdita che si risolva in un danno patrimoniale.
3.5.
Né tali conclusioni sono smentite dalle pronunce (Cass. 24 agosto 2007, n.
17977; Cass. 12 settembre 2005, n. 18092; Cass. 26080 del 2005, richiamate
anche dai ricorrenti) riferite alla perdita di “prestazioni domestiche” e, più
in generale, della cura e assistenza, erogate dalla donna defunta all'interno
della famiglia e a favore dei congiunti. Infatti, tale pronunce, che
riconoscono il danno patrimoniale alla danneggiata primaria o ai congiunti
della stessa, si fondano sempre su prestazioni erogate all'interno della
famiglia nucleare basata sulla convivenza.
4.
Con il quarto motivo, si deduce, unitamente a omessa motivazione, l'omessa
pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.) della sentenza sul motivo di appello
concernente la parte della decisione della sentenza di primo grado che non
aveva ammesso i mezzi istruttori chiesti, ritenendoli generici e/o valutativi.
4.1.
Il motivo deve rigettarsi. La Corte di merito ha, implicitamente, ritenuto
ininfluenti i mezzi istruttori, avendo rigettato le domande che tali mezzi
miravano a provare sulla base della non configurabilità del diritto al
risarcimento.
5.
Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e omessa e insufficiente
motivazione in ordine alla conferma della compensazione delle spese in primo
grado.
5.1.
Secondo la Corte di merito, la compensazione delle spese processuali di primo
grado trova fondamento nell'importo dell'offerta dell'Assicurazione prima del
giudizio, di poco inferiore a quanto effettivamente riconosciuto, e nelle
eccessive pretese dei danneggiati, che avrebbero frustrato qualunque proposta
transattiva. Il motivo deve rigettarsi, essendo la decisione sul punto
congruamente e logicamente motivata.
P.Q.M.
LA
CORTE DI CASSAZIONE
rigetta
il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore di Unipol
Assicurazioni Spa (già Aurora Assicurazioni Spa), delle spese processuali del
giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00, oltre alle spese generali
ed agli accessori di legge.