A stabilirlo sono gli ermellini
di Piazza Cavour con la sentenza nr 15495 del 7 aprile 2014, con la quale
respingevano il ricorso di un ginecologo avverso il giudizio di colpevolezza
della Corte di Appello.
I togati della Suprema Corte
ritengono infatti che, nel caso di specie, il medico avesse tardivamente
attivato i meccanismi di urgenza per l’esecuzione del taglio cesareo che, se
eseguito tempestivamente avrebbe evitato l’exitus intrauterino. Le linee guida
cui lo stesso avrebbe dovuto attenersi suggeriscono un immediato intervento
chirurgico in caso di brachicardia del feto. Ciò nonostante, l’imputato, ha
tralasciato i segni di sofferenza evidenti al tracciato tococardiografico per
oltre due ore e mezzo.
Si legge nelle motivazioni che: “la
condotta omissiva del professionista integrasse uno specifico profilo di colpa
per imperizia, anche in riferimento alla mancata osservanza delle linee guida
disciplinanti lo specifico settore di attività; con la precisazione che il
grado della colpa risultava di particolare gravità, stante la protratta durata
temporale della condotta omissiva da parte dello specialista, rispetto al
comportamento di elezione, che risultava imposto dalle regole tecniche”.